E’ dimostrato che ogni cultura costruisce i suoi stereotipi e le sue scelte in base a valori contingenti, legati magari al vivere comune o al rispetto di norme, che la comunità si dà.
Ma come avviene in ogni contesto chiuso le regole sono per lo più fatte da pochi e comunque non tengono spesso conto dei bisogni individuali (il famoso disagio della civiltà).
Si parla allora di identità culturale e religiosa dove un più o meno esteso numero di individui compartecipa e aderisce a modelli che non riescono, peraltro, a contenere il TUTTO.
Cosa succede quando ci troviamo di fronte al DIVERSO che non rientra in questo TUTTO, in questo sistema organizzato che ci rassicura e ci rende spesso UGUALI agli altri?
Quanto siamo in grado di tollerare l’influenza dell’ALTRO diverso da ME?
Anche l’incontro-scontro con culture diverse in un contesto saturo può dare sfogo ad un certo senso di intolleranza, così come la diversità rispetto alle condotte sessuali, vedi l’omosessualità o anche la diversità di credo ecc.
Cosa si cela dietro al giudizio o spesso al pregiudizio che ci riporta da una parte a rimanere in un contesto protetto e dall’altra a rifiutare il contatto con il diverso?
Quali parti in “ombra” sollecitano il nostro contatto con la diversità, tali da richiedere spesso una nuova INTEGRAZIONE alla “luce” del nostro pensiero razionale?
E poi l'attuale società sembra essersi “disgregata” in una molteplicità di sistemi, ognuno dei quali, a sua volta, produce riferimenti valoriali spesso del tutto autoreferenziali, sempre meno attenti alla relazione umana e alla dignità dell’uomo. Se la cultura moderna ci ha fatto scoprire l’individuo, sostenendone l’affermazione in ogni ambito della vita sociale; se il pensiero filosofico del secondo Novecento, dopo l’immane tragedia del più grande conflitto mondiale, ci ha rivelato la fondamentale importanza dell’altro, è ora giunto il momento di affermare la centralità della relazione con l’altro, la necessità che gli individui imparino a riconoscersi reciprocamente. Cuore di tutta la conversazione l’alternativa tra l’equilibrio emotivo e il caos emotivo che avvicinano o allontanano dal benessere e dalla felicità in dipendenza della qualità della relazione. L’autentica relazione reciproca, umanizzante fondata sul principio di fraternità e sul rispetto della “Regola d’oro” – fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te – alla fine risulta essere il vero rimedio capace di riumanizzare ogni comportamento nel superamento definitivo del paradigma amico-nemico.
Riconoscere dunque l’altro amandolo fino a sentirlo parte integrante di sé e del proprio mondo interiore ed esteriore appare l’unica risposta piena alla realizzazione di sé e al bisogno di felicità.
Ma come avviene in ogni contesto chiuso le regole sono per lo più fatte da pochi e comunque non tengono spesso conto dei bisogni individuali (il famoso disagio della civiltà).
Si parla allora di identità culturale e religiosa dove un più o meno esteso numero di individui compartecipa e aderisce a modelli che non riescono, peraltro, a contenere il TUTTO.
Cosa succede quando ci troviamo di fronte al DIVERSO che non rientra in questo TUTTO, in questo sistema organizzato che ci rassicura e ci rende spesso UGUALI agli altri?
Quanto siamo in grado di tollerare l’influenza dell’ALTRO diverso da ME?
Anche l’incontro-scontro con culture diverse in un contesto saturo può dare sfogo ad un certo senso di intolleranza, così come la diversità rispetto alle condotte sessuali, vedi l’omosessualità o anche la diversità di credo ecc.
Cosa si cela dietro al giudizio o spesso al pregiudizio che ci riporta da una parte a rimanere in un contesto protetto e dall’altra a rifiutare il contatto con il diverso?
Quali parti in “ombra” sollecitano il nostro contatto con la diversità, tali da richiedere spesso una nuova INTEGRAZIONE alla “luce” del nostro pensiero razionale?
E poi l'attuale società sembra essersi “disgregata” in una molteplicità di sistemi, ognuno dei quali, a sua volta, produce riferimenti valoriali spesso del tutto autoreferenziali, sempre meno attenti alla relazione umana e alla dignità dell’uomo. Se la cultura moderna ci ha fatto scoprire l’individuo, sostenendone l’affermazione in ogni ambito della vita sociale; se il pensiero filosofico del secondo Novecento, dopo l’immane tragedia del più grande conflitto mondiale, ci ha rivelato la fondamentale importanza dell’altro, è ora giunto il momento di affermare la centralità della relazione con l’altro, la necessità che gli individui imparino a riconoscersi reciprocamente. Cuore di tutta la conversazione l’alternativa tra l’equilibrio emotivo e il caos emotivo che avvicinano o allontanano dal benessere e dalla felicità in dipendenza della qualità della relazione. L’autentica relazione reciproca, umanizzante fondata sul principio di fraternità e sul rispetto della “Regola d’oro” – fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te – alla fine risulta essere il vero rimedio capace di riumanizzare ogni comportamento nel superamento definitivo del paradigma amico-nemico.
Riconoscere dunque l’altro amandolo fino a sentirlo parte integrante di sé e del proprio mondo interiore ed esteriore appare l’unica risposta piena alla realizzazione di sé e al bisogno di felicità.
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