domenica 28 febbraio 2010

Sugar Baby

Dopo una serie di difficoltà che sembravano insormontabili sono riuscita a far arrivare dalla Sormani la videocassetta (attenzione, neanche il dvd) del dilm di Percy Adlon...devo dire che alla fine ne è valsa la pena...


L'antefatto di Sugarbaby è l'incontro tra il regista e l'interprete femminile, Marianne Sägebrecht, un personaggio molto noto negli ambienti artistici di Monaco quale animatrice nel quartiere di Schwabing di una singolare compagnia, l'Opera Curiosa, formata da cantanti, saltimbanchi, attori teatrali, travestiti, mimi. Adlon la vide una prima volta nella totale immobilità dentro una piscina di un albergo di Deggendorf, dove s'era recato a girare una scena per un film televisivo (questo del rapporto solitario con l'acqua, con le relative implicazioni psicoanalitiche, torna anche in Sugarbaby). Ebbe poi modo di notarla di nuovo in una sfrenata performance di rock and roll su un palcoscenico. E dalle sovrapposte e solo in apparenza contrastanti immagini dell'attrice che deriva l'idea del film (tuttavia coadiuvato da un racconto di un'amica su una signora divenuta all'istante bellissima pronubo l'amore per un tranviere). L'altro tassello determinante dell'operazione è il contributo dato dalla direttrice della fotografia, Johanna Heer, un'austriaca trasmigrata a New York, studiosa e teorica del colore, rivelatasi al pubblico della cinefilia d'oltreoceano con Subway riders di Amos Poe. Una videoartista che ha inquadrato le revulsioni di un quotidiano privo d'amore nella rete metallica delle tonalità fredde: rossi, viola, verdi, blu, quando virati duramente verso un'evidenza iperrealistica, quando invece compressi su una misura asettica ed omogeneizzante. Facile pensare al post-moderno, che al cinema, quanto al colore, si è venuto ad es. impaginando nella contagiosa tavolozza lavorata da Housselot per Diva di Jean - Jacques Beineix. Più scoperto (nel caso di Adlon) il richiamo a Fassbinder, ma anche più appropriato: giacché è proprio nel suo cinema che la violenza del moderno ha incontrato il bric-à-brac di oggetti e cromie tra loro in contrasto, spinti sino al limite del kitsch. Un po' come tutto quello che si ritrova in Sugarbaby: la metropolitana, le scale mobili, gli interni spenti, i casermoni delle enclavi periferiche, tutto reso con quei modi forti come la stessa vicenda e che danno forza al racconto filmico. Anche la storia della grassona cinquantenne che si abbandona a una passione romantica ed adolescenziale per un tizio che ha la metà dei suoi anni ma che la ricambia, sembra ritagliarsi pari pari negli scampoli di un universo irridente e ossessivo, quale fu quello di Fassbinder. Si potrebbe ricordare Angst essen Seele auf, con l'incontro tra il turco e la matura signora tedesca.
Il punto di maggior contatto non è tuttavia tematico, nel senso stretto del plot. In comune con Fassbinder, ma in generale in comune con il cinema tedesco dell'ultimo ventennio, lo sguardo di Adlon - con diverse varianti e alcune licenze - ordina anch'esso l'assetto della realtà nei termini di una opprimente normalità. Anche nel caso di questo ispirato film d'autore (così Cosulich in una recensione per RaiTre), la lezione della cinepresa imprime indelebile il marchio dello squallore quotidiano, persuasivamente prospettandocelo nella somma degli atti sempre uguali: la routine del lavoro, il percorso, la bulimia, l'isolamento, ecc.
L'irrealtà del presente si angola quasi fenomenologicamente sull'analisi di una persona comune la cui durezza, crudamente meccanizzata sul proscenio metropolitano ed emblematizzata nel corpo pesante e sgraziato, viene appena corretta all'inizio dalla pietà che a tratti lei prova per le salme che pulisce e che veste. Ma come in tante altre opere di questa ultima stagione del cinema e della cultura tedesca, i racconti in persona dei diversi personaggi (qui la teutonica cinquantenne; in Fassbinder i marginali e i trasgressivi; in Herzog i visionari; nella von Trotta l'ipersensibilità femminile) possiedono la valenza e lo spessore di un destino che è sovraindividuale.
Ciò accade anche in Sugarbaby, nella prima parte e in generale nello sfondo che lo stile dei film ora inquadra espressionisticamente ora ritaglia iperrealisticamente. Se questo è il livello della realtà, alienante e per ciò stesso deformata; e se a tale situazione un Fassbinder reagisce con una provocante e sarcastica disperazione, Percy Adlon si' abbandona alla tenerezza e alle risorse di una fantasia umanizzata e solidale.
La sua Marianne non si lascia distruggere da quelli che sono i canoni della cultura corrente. Al modello vitalista ella oppone sia pure involontariamente la frequentazione della morte; al cliché giovanilistico e dietetico l'età rimarchevole e una stazza fisica alquanto voluminosa. Il muro della solitudine non s'infrange da solo con l'inattesa apparizione di Huber, ma è pur sempre il caso a determinare l'insorgere del processo.
Adlon è molto convincente allorquando delinea i cambiamenti della donna: cambiamenti prima psicologici e poi fisici; del pari è icastico se traduce la fermezza del carattere tedesco nel progetto d'amore, che tiene in conto anche le debolezze del giovane, in primo luogo quella mancanza d'affetto confermata dal suo amore per i dolci.
Gli anelli narrativi al cui interno possono spiegarsi il carattere e il senso di una così straordinaria passione ci sono tutti, mostrati nel racconto e non invece sovrammessi. Per incredibile che sia, Marianne è leggerissima nella sua opulenza (c'è a riprova la sequenza dei rock), delicata negli affetti e nel sesso, spiritosa e imprevedibile. Scopre l'amore e il rispetto di sé attraverso l'amore per un altro.
Ma infine, lo chassis sul quale si distende il corpo centrale della narrazione - il rapporto tra i due - diventa un po' il livello della favola che s'oppone al livello della realtà. Meglio, il risarcimento che il cinema e l'immaginazione riescono a produrre rispetto alle standardizzazioni del quotidiano.
Cade giusto qui la disformità da Fassbinder: poiché dove lui metteva al galoppo amarezza e sarcasmo, provocazione e ironizzazione del discorso estetico, Adlon chiama ancora in causa i valori positivi, a cominciare da quelli artistici. È infatti l'arte a rendere possibile l'“amour fou” di Marianne. Il continuo slittamento che in Sugarbaby si modella dal piano della realtà a quello dell'invenzione, che contro la prima appunto si determina, giunge a disvolgersi nella tipologia dei personaggi: deboli, come anche lo Huber del film, e poveri, oppure vittime, che però hanno dentro una forza morale (i fratelli Scholl di Lezte fünf Tage) e umana (Céleste) e creativa (Walser), da cui si sprigiona la loro inusuale ma ugualmente abbacinante bellezza. Quella stessa che affascina il regista e che lo spettatore sorpreso sente nella metamorfosi di Marianne. Da tale incantamento discende intera la possibilità di sospensione della catena del tempo. La favola diviene realtà e lo sguardo dell'autore si scioglie da ogni predeterminazione abbandonandosi alle sue immaginazioni, inseguite e accarezzate nella loro impossibile pienezza e appunto fatte possibili dallo sguardo della cinepresa. Da ciò, in Sugarbaby, le “volute sgrammaticature”, le “ondeggianti circonvoluzioni”, le “inquadrature tremolanti” che denotano la trepida e vitale meraviglia del regista di fronte all'incanto della sua materia.
Il finale - un brusco e enigmatico ritorno alla realtà - non è tuttavia drammatico. Certo, non sappiamo se Marianne si trovi nella metropolitana per uccidersi, o per ricominciare. Ma la scelta di battersi comunque (nella nostra lettura e nel nostro desiderio la persona cui si rivolge non può che essere Huber) sta in tono con il carattere del film. Al quale - come s'è capito - gli interpreti danno un contributo imprescindibile. Non solo la giostrante e clownesca Marianne Sägebrecht, ma anche Eisi Gulp, che sa obliterare la ovvietà dell'avvenenza fisica con la “grazia infantile di un saltimbanco semplice e spontaneo” (acuta notazione, come quelle del precedente capoverso, dovuta a Fabio Bo, vedi “Il Messaggero” del 27 gennaio 1988).

(Gualtiero De Santi, www.wlaciccia.it)

 

sabato 27 febbraio 2010

detti popolari

 
 
Se sei incerta,
tienila aperta...
(la porta)

 
 

venerdì 26 febbraio 2010

a salvarmi vieni a salvarmi
(Milano vista da lontano part 1)

 

Ieri il caro "Toro Seduto" Manuel Agnelli era all'Informagiovani in via Dogana a discutere di musica e di cultura... Ho seguito per circa un'ora, e ne è venuto fuori quello che un po' pensiamo tutti noi affamati di nuovi stimoli e in particolar modo di stimoli alternativi...Si è parlato della ricerca di spazi in questa città.. di come da un certo periodo a questa parte tutto ciò che viene considerato cultura venga organizzato e monopolizzato da qualcuno che nella situazione specifica sta al potere.
Negli Stati Uniti invece la cultura è vissuta come parte centrale dell'economia, e quindi coltivata alla base. In Italia è un bene di lusso. Austin, ad esempio (nel tanto tradizionalista Texas), ha 200 locali per la musica dal vivo, dove ogni sera possono suonare centinaia di gruppi, anche se sicuramente le leggi sono severe, chi dopo l'una di notte viene sorpreso con un bicchiere di birra rischia davvero la prigione...
 

in Italia e nemmeno nella tanto europea Milano non c'è un'offerta da giustificare un tale rispetto delle regole, anche se lo stesso Manuel (e un po' tutti a dire il vero) si meravigliava di quanta efficacia abbia avuto in questo paese la legge anti-fumo.
 

Milano negli anni 70 era un centro culturale fantastico, pieno di fermenti di ogni tipo, mentre oggi è una città che ti fa sentire impotente e passivo, infatti come diverse persone anche il cantante degli After ha fatto la scelta di trasferirsi in provincia, dove c'è ancora la possibilità di vivere una situazione più a misura d'uomo.
Deve partire da noi e dalla nostra necessità il riuscire a fare una pressione positiva...perchè buona parte della cultura che noi amiamo e cerchiamo non viene rappresentata.
Sempre negli 70 era nato anche il concetto di autoproduzione, che poi è stato preso a modello anche negli anni 90, quando forse Milano ha avuto quell'ultimo acuto con gruppi del calibro di Ritmo Tribale, La Crus, gli stessi After. Già vent'anni fa i locali aveveno grosse difficoltà a vivere ed Il Leoncavallo era un punto di riferimento non solo politico ma soprattutto culturale davanti alla gente.
 

Ora i centri sociali non rappresentano più quello che è la società, o forse si sono anche un po' adagiati in quello che è ormai il loro spazio di nicchia. D'altra parte oggi abbiamo un vantaggio in più che è internet, e quindi la possibilità di avere una comunicazione capillare...

 

martedì 23 febbraio 2010

They've Come Back !
Ritornano quelli di...Calibro 35

 

Attenzione, perchè sono tornati con un album pieno di funkettone fino al midollo... come dire che il primo album era solo una prova... e qui non si scherza mica. Di nuovo i nostri uniscono alle proprie creazioni (questa volta ben otto, particolarmente a me gradite Eurocrime! di Martellotta ed Il Ritorno della Banda parte I di Gabrielli, che riesce addirittura a commuovermi) composizioni dei grandi maestri (da Morricone, ad Umiliani, Ferrio e Ortolani) ed il risultato risulta ancora più fluido che nel primo disco... insomma ci si diverte proprio...
Io ho la mia copia personale... ma per chi volesse ascoltarlo in streaming su Rockitte il link è www.rockit.it e buon divertimento...

 

dottore, si può fare qualcosa?

 

 

love is love

 

 

sabato 20 febbraio 2010

per tutta la vita

 
Non so se sperare che vinca o meno....ma fa davvero venire i brividi Noemi...



Per tutta la vita
Andare avanti
Cercare i tuoi occhi
Negli occhi degl'altri
Far finta di niente
Far finta che oggi
Sia un giorno normale
Un anno che passa
Un anno in salita
Che senso di vuoto
Che brutta ferita
Delusa da te, da me,
Da quello che non ti ho dato

Per tutta la vita
Cercare un appiglio
L'autunno che passa
Ma forse sto meglio
Trovarsi per caso
In un bar del centro e sentirsi speciale
Ma l'amore è distratto,
L'amore è confuso
Tu non arrabbiarti, ma io non ti perdono
Delusa da te, da me,
Da quello che non mi hai dato...mai

Esplode
Il cuore
Distante
Anni luce fuori da me
Sei colpa mia
La gelosia
Infrange tutto e resta niente...

Le solite scuse,
Le solite storie,
Bugie, speranze,
A volte l'amore
Mi guardo allo specchio
Mi trovo diversa
Mi trovo migliore
Un nuovo anno che passa
Un nuovo anno in salita
Che senso di vuoto
Che brutta ferita,
Ferita da te, da me,
Da quello che non c'è stato...mai

Esplode
Il cuore
Distante
Anni luce fuori da me
Sei colpa mia
La gelosia
Infrange tutto e resta niente...qui

Per tutta la vita
andare avanti...
Un anno in salita per me,
per te, per me, per te, per me...

Esplode
Il cuore
Distante
Anni luce fuori da me
Sei colpa mia
La gelosia
Infrange tutto e resta il niente...qui

 

mercoledì 17 febbraio 2010

desideri

 
 
Lucy: Mi piace.. la voglio!!!!
Carola: Datti da fare, allora....

 
 

perchè sanremo è sanremo...

 

Uno dei pochi motivi per guardare sanremo ieri era sicuramente l'affascinante moglie di Enrico Ruggeri, Andrea Mirò che dirigeva l'orchestra mentra cantava il marito (a destra nella foto, le altre due ignoro chi siano) ...Bravissima inoltre Noemi.. tiferò per lei... simpatica Irene Grandi..ma il pezzo del Bianconi è il solito pezzo dei Baustelle...E comunque parecchie canzoni rimaste in gara sono anche peggio di quelle che sono stata buttate fuori...mah..magari mi faccio un film stasera...le nuove proposte fanno solo venire tristezza...

 

martedì 16 febbraio 2010

l'arte del sogno

 

“Ogni struttura ha la sua frequenza di risonanza, devi solo trovare l’accordo giusto al momento giusto”: con queste parole Stéphane (Gael Gaercìa Bernal nel ruolo della vita) proclama la sua signoria sugli oggetti, il suo dominio sulle cose inanimate, materia inerte sulla quale imprimere il segno vivificante della sua fantasia. Stéphane Miroux è Michel Gondry, ovviamente: artefice sconclusionato, sognatore inguaribile e romantico pasticcione. Ma Stéphane è tanto talentuoso nel vivificare le cianfrusaglie quanto disastroso nel concretizzare i suoi desideri. I sentimenti che lo animano lo portano a fare immancabilmente la cosa sbagliata, a prendere la decisione più inappropriata. A meno che tutto questo non si svolga in sogno: qui paradossalmente, “gondryanamente”, i resti diurni si organizzano alla perfezione sui suoi desideri, non opponendo resistenza alcuna.


Strutturato come uno studio televisivo fatto in casa, il teatro onirico è il luogo della riscossa, il palcoscenico su cui mettere in scena, rovesciandola, l’insoddisfazione del quotidiano. Il gioco è talmente appagante da prendere la mano (anche in senso letterale) fino a tracimare nella realtà: tra sonnambulismi, allucinazioni e rêverie, Stéphane confonde i livelli della sua esistenza, non solo alternandoli vorticosamente, ma addirittura contaminandoli indissolubilmente. “Casualità Sincronizzata Parallela” (Parallel Synchronized Randomness) è il concetto che in fondo sorregge L’arte del sogno, un accordo segreto e imperscrutabile tra due menti che si ritrovano inconsapevolmente a compiere le stesse operazioni.


La pellicola si insinua nella vicenda sentimentale di Stéphane e Stéphanie (un’ineffabile Charlotte Gainsbourg) con sconcertante sincerità, penetra nelle anfrattuosità più nascoste della loro relazione con inarrivabile leggerezza e riemerge acida in superficie carica di un rancore attossicante. Senza rinunciare, infine, al dono struggente e inaspettato di una carezza che rimette tutto in discussione. Almeno in sogno: anarchia del cellophane!

Alessandro Baratti


Il film si dondola in una poderosa rete di sottotesti: il personaggio assente, lo spettro paterno che macchia interamente l’intreccio, l’ansia della costruzione e la voglia di plasmare la materia (le fatue invenzioni di Stéphane sono tentativi paradossali di trasportare brandelli di sogno nella vita), l’inesistenza del sentimento come sala d’aspetto della follia, il diffuso sentore fatale (l’appuntamento Stéphane/Stéphanie, mancato perché già segnato dal fallimento, è il raccordo vero con Eternal Sunshine, lo straziante confronto Joel/Clementine sul pianerottolo). Inoltre: la concatenazione finale di gesti e situazioni, la televisione che finisce nell’acqua – chiara è la diffidenza dell’autore verso un certo intrattenimento -, la secchiata al passante, l’inno all’anarchia evoca la dolce eversione della nouvelle vague e, come punto fermo culturale (ancora), sceglie la dimensione godardiana per chiudere l’opera. Gael Garcìa Bernal combina di tutto, prestando la ridotta fisicità a una prova chapliniana, Charlotte Gainsbourg mi fa letteralmente impazzire: un canto a due voci che piange la morte dell’amore.

Emanuele Di Nicola


Oltre a queste recensioni un interessantissimo articolo sulla produzione di video musicali di Gondry lo trovate su: www.spietati.it

 

domenica 14 febbraio 2010

nel mezzo

 

"Si nasce e si crepa e nel mezzo ci si ammazza di fatica per perdere tempo facendo finta di guadagnarlo, e questo è tutto quello che ho voglia di dire sugli uomini."

(F. Vargas, L'uomo dei cerchi azzurri)

 
 
 
E grazie a CHiaRA per avere ispirato questo post...

sabato 13 febbraio 2010

Kamchatka o morte!

 


Il Risiko è il più sopravvalutato
tra i giochi di società.

(Valentina F.)

 

venerdì 12 febbraio 2010

diffidate di chi non mangia olive

 

Le olive sono il tipo perfetto di piacere perfetto, come direbbe Oscar Wilde, sono squisite e lasciano completamente insoddisfatti...o meglio via una, via l'altra...come si può vivere una vita senza olive?

 

Mi considero una fotografa, e niente di più.

 

«Ogni volta che si usano le parole "arte" o "artista" in relazione ai miei lavori fotografici, avverto una sensazione sgradevole dovuta senza dubbio al cattivo impiego che si fa di tali termini. Mi considero una fotografa, e niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni. La maggior parte dei fotografi vanno ancora alla ricerca dell’effetto “artistico”, imitando altri mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che non riesce a dare al loro lavoro le caratteristiche più valide che dovrebbe avere: la qualità fotografica. Negli anni recenti si è molto discusso se la fotografia possa o non possa essere un lavoro artistico comparabile alle altre creazioni plastiche. Naturalmente ci sono molte opinioni diverse. Ci sono quelli che accettano veramente la fotografia come mezzo d’espressione alla pari con qualsiasi altro, e altri che continuano a guardare in modo miope al ventesimo secolo con gli occhi del diciottesimo, incapaci di accettare le manifestazioni della nostra civiltà meccanica. Ma per noi che usiamo la macchina fotografica come uno strumento, proprio come il pittore usa il pennello, queste diverse opinioni non hanno importanza.»

(Tina Modotti in Sulla fotografia)


Per leggere il resto dell'articolo: viadellebelledonne.wordpress.com
 

giovedì 11 febbraio 2010

...disse, guardandosi allo specchio...

 

Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...Io Sono Un Cuore Di Panna...

 

A ghost of aviation

 

Non era una donna come le altre Amelia Earhart. Da sempre. Da quando era bambina e si arrampicava sulle rocce o inseguiva i topi nel giardino. Non era come le altre, ma a dieci anni ancora non lo sapeva. A dieci anni ancora non sapeva cosa avrebbe voluto dalla vita. Non lo saprà fino al 28 dicembre 1920. Fino a quando per la prima volta metterà piede su un aereo. Fino a quando volerà per la prima volta. Fino a quando scoprirà che volare è l’unica cosa che desidera pur sapendo, forse, che il volo, che è la sua vita, sarà anche la sua morte.
E’ la prima donna a volare sul continente nord americano e ritorno. La prima donna a volare non stop sull’Atlantico. La prima in assoluto, l’11 gennaio 1935, a volare in solitaria da Honolulu nelle Haway ad Oakland in California. Negli anni 30 è una celebrità. Il suo volto si accompagna a campagne pubbicitarie, valigie, maglieria, vestiti. Amelia lo sa di essere una celebrità. E usa la sua immagine per portare avanti il suo costosissimo sogno, volare, e per dare un nuovo posto alle donne. Per dimostrare che possono farcela. Che l’aviazione può essere anche una “cosa da donne”. Come è accaduto per lei. Nel 1929 è la prima a promuovere la diffusione del trasporto aereo civile. Una pioniera. Nelle idee e nel volo. Anche nel volo della vita. Circumnavigare il globo. Amelia proprio non vuole rinunciare a questo sogno. E’ una sfida. L’ultima. Quella che si chiuderà il 2 luglio 1937.
Amelia Earhart, Fred Noonan sparirono nel nulla. La marina degli Stati Uniti fece partire subito le ricerche. Durano oltre quindici giorni. Senza successo.

(Claudia Migliore, www.gialli.it)





People will tell you where they’ve gone
They’ll tell you where to go
But till you get there yourself you never really know
Where some have found their paradise
Other’s just come to harm...

(Joni Mitchell)

 

milan l'è semper un gran milan

 


La mia citta’ ci insegna a vivere
da pipistrelli chiusi in scatole
La liberta’ sentirti sola con chi vuoi
meglio di cio’ che sei, meno di quel che puoi (vuoi?)




chi affrontera’ i maglioncini degli insorti
blog rum e cocaina per battere il sistema
chi salvera’ la mia citta’...

(Afterhours, Tema: La mia città)

 

mercoledì 10 febbraio 2010

tu non molli, eh?

 


E da oggi vi prego...chiamatemi solo Cuore di Panna...

 

I love you but...

 

Mai più ma...forse..se, mai più alimentare la cultura del dolore, mai più non sapersi godere un istante sereno. Ce la si può fare? O siamo inevitabilmente portati a cercare il bicchiere mezzo vuoto? Perchè la natura umana è portata costantemente, come vuole anche ogni sorta di peccato originale a desiderare di più, altro? Perchè non ci basta mai quello che abbiamo? Io credo che può essere rivoluzionario scardinare questo meccanismo di cui siamo succubi. Potrebbe essere una grande conquista.

 

domenica 7 febbraio 2010

vita rubina

 
Mi smuove sempre qualcosa nello stomaco questo pezzo...e ieri al Miami invernale Umberto Giardini ha iniziato proprio così...



L'altra notte mentre uscivo fuori dalla discoteca,
mi è passata a quattro metri la mia vita
Camminava col bicchiere e un vestito nero.
mi ha guardato,ma non mi ha cagato
La conosco bene,è in collera con me,
mi rimprovera le cose che non ho potuto fare
Mi rimprova parole che non ho potuto dire,
che mi avrebbero cambiato in meglio insieme a lei
Ho rivisto il corpo morto di mio padre
con i baffi neri diventati bianchi in un'ora o poco piu'
Ho rivisto quell'estati infinite con il mio amico Gigi,
con il sole che ci amava e ci baciava i piedi scalzi
Ho rivisto mio fratello e le sue mani buone,
quelle mani adulte che solo io non avrò mai
Ho rivisto quelle città che non mi sono appartenute,
i miei anni come ombrelloni chiusi in piena estate
I cavalli,le farfalle e le mie fate
diventato un giorno cani a quattro teste
porte chiuse a chiave e finestre
galleggiare in un mare di fotografie

E' la mia vita la scorciatoia per entrare in te e in me
Che difendo con le unghie e poi la perdo
Come un anello ai piedi non è ieri è oggi

Difendo con le unghie e poi la perdo

 

sabato 6 febbraio 2010

dopo mezzanotte

 
La serie di Fibonacci.Questi era un matematico pisano del Duecento. E' una serie in cui la caratteristica più evidente è che ogni terzo numero è la somma dei due precedenti. Vedi? 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, e così via fino all'infinito...
Prova a sfogliare una margherita o contare le scaglie di un ananas o i semi di un girasole. Il numero dei petali di un fiore è quasi sempre un numero di Fibonacci. I numeri suggerirebbero che nell'universo c'è una specie di ordine matematico il che ci spinge a sospettare che forse, il mondo, qualche senso ce l'ha. Che non è poco...



Un film principalmente sull'amore, inteso in senso lato: non solo quello che coinvolge Martino, Amanda e Angelo, ma soprattutto quello che è il "bisogno di appartenere a qualcuno o a qualcosa", anche un'ideale o un luogo.
Le strade buie, isolate e periferiche di Torino si contrappongono a quel microcosmo fatto di magia e intimità rappresentato dalla Mole Antonelliana, in cui ha sede il Museo del Cinema e in cui Martino (un taciturno e delizioso Giorgio Pasotti) lavora come guardiano notturno. È qui che il suo destino si incrocia con quello di Amanda, in fuga dallo squallore quotidiano che la attanaglia. È qui che ogni notte Martino proietta immagini dei vecchi film che gli consentono di vivere in altri tempi, in altre dimensioni e dare vita ai suoi sogni.
Ecco, la vera anima del film è tutta lì, nella Mole Antonelliana con i suoi archivi segreti, gli anfratti, le scale, le pareti mobili, le vecchie foto e la possibilità di vivere 1000 vite diverse ogni volta che la luce si spegne e la gente va via.
Imperdibile per ogni cinefilo che si rispetti.

La curiosità: il film è distribuito da Medusa (gruppo Fininvest), ma in una delle scene finali è proprio il nostro Presidente del Consiglio ad essere messo alla berlina.

(Francesca Onorati, filmup.leonardo.it)


Il film gioca con lo stile del cinema delle origini: delle lanterne magiche recupera i bellissimi giochi di luce, utilizzando quelli presenti all’interno della Mole, ma creandone altri anche all’esterno, tra i palazzi e le piazze di Torino. Dal cinema muto utilizza in modo sobrio qualche gag slapstick, le didascalie che venivano messe tra un’immagine e l’altra, lo schermo nero che si chiude a cerchio intorno ai personaggi ad ogni cambio di scena.
Se la forma è una riuscitissima commistione tra un cinema d’altri tempi e tecnologie moderne, l’atmosfera che si respira nel film è decisamente nouvelle vague, tra Rohmer e Truffaut. Di Rohmer ci sono gli incontri casuali e sospesi tra le persone, di Truffaut la leggerezza con cui vengono trattati temi in bilico tra sentimento e dramma, come il ménage a tre tra i protagonisti che richiama Jules et Jim, la sincera passione del protagonista per la cultura, in questo caso il cinema. Da ricordare la bellissima sequenza della dichiarazione d’amore sotto forma di film muto.La voce narrante di Silvio Orlando dona calore alla storia, la avvolge di magia e le dà i toni di una favola, e anche questa si rivela una scelta azzeccata e fuori dagli schemi. Il risultato è un film delicato, poetico, divertente, dall’atmosfera sospesa e sognante, che ci si sente di consigliare caldamente a chi ama il cinema. Perché, come ci ricorda la voce di Orlando, le storie finiscono, ma il cinema continua. E continua a regalarci sogni bellissimi come questo. Con buona pace dei fratelli Lumière, che avevano definito il cinema “un’invenzione senza futuro”.

(Maurizio Ermisino, www.moviesushi.it)

 

il piacere della buonanotte

 

Diciamo pure che la sensazione più forte della giornata rimane sempre il Listerine...quel piacere che deriva dalla resistenza nel tenerlo in bocca...mentre ti scendono i lacrimoni...

 

mercoledì 3 febbraio 2010

the power of love

 

Oscar: L'amore può portare a due cose. Alla felicità completa, o a una lenta e triste agonia.
Fersen: No, no, Oscar. Per quello che so io, l'amore porta solo a una lenta e triste agonia.

 

vertigini

 

Desiderava fare qualcosa che non lasciasse possibilità di ritorno. Desiderava distruggere brutalmente tutto il passato dei suoi ultimi sette anni. Era la vertigine. L'ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere. La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa. Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancor più deboli, si vuole cadere in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso.

(Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere)

 

martedì 2 febbraio 2010

hard party

 


...e quando il party si fa duro....

 

tanti auguri a me... tanti auguri a me...

 

 


...che abbiano inizio i lisergici festeggiamenti!


 

 

lunedì 1 febbraio 2010

no way

 
 
Mi sto davvero sforzando.
Ma non serve.
Forse solo il tempo
o qualcuno che mi trascini via.
Non mi viene in mente altro.

 
 

xxy

 

Il tema è di quelli scottanti, Lucía Puenzo lo tratta con estrema delicatezza, senza però edulcorare la drammaticità di una condizione così complessa. La castrazione che viene proposta ad Alex è una metafora del tentativo di cambiare con il bisturi il corpo, quindi di fatto l’identità di una persona. E’ la violenza imposta da una società che spesso rifiuta di accettare le diversità. In questi tempi in cui si discute dei limiti della scienza nel modificare la natura umana, si accetta senza battere ciglio che i bambini ermafroditi vengano operati sin da neonati per “correggere” quelle che vengono considerate come deviazioni della sessualità. Ma quelle piccole cicatrici, sembra dire "XXY", non scompaiono mai.

(Francesco Olivo, www.cinemadelsilenzio.it)


Al di là del mondo cinefilo, però, il film ha creato non pochi imbarazzi in ambito scientifico. L'intersessualità di Alex, il protagonista, è causata da iperplasia surrenale congenita mentre il profilo cromosomico "XXY" descrive una condizione diversa, la Sindrome di Klinefelter. Per questo motivo il "Comitato Scientifico UNITASK" (Unione Italiana Sindrome di Klinefelter) ne contesta il titolo.

 

ne rimarrà solo uno...

 

 

about tv

 


"Lo schermo televisivo è ormai l'unico vero occhio dell'uomo e fa oramai parte della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che la televisione è la realtà. E la realtà è meno della televisione"

da Videodrome (1982)