Roma, 2 maggio. (Adnkronos/Ign) - "Mamma, mi stanno impiccando. Ti prego, salvami". Sono queste le ultime, disperate parole di Delara Darabi, la pittrice 23enne impiccata ieri mattina in una prigione nel nord dell'Iran, pronunciate durante una brevissima telefonata ai genitori. Poco dopo l'appello, un funzionario del carcere di Rasht le ha strappato di mano il telefono, dicendo: "Stiamo per giustiziare vostra figlia e non c'è nulla che possiate fare".
Delara è stata condannata a morte per l'omicidio di un parente avvenuto nel 2003 quando aveva 17 anni. La pena capitale è stata eseguita nonostante fosse stata accordata, il 19 aprile scorso, una sospensione di due mesi, grazie alle pressioni internazionali.
La ragazza, in carcere da cinque anni, aveva inizialmente confessato l'omicidio, ritrattando poi e accusando il compagno di essere l'autore materiale del delitto. Nel 2006 Amnesty International aveva lanciato una campagna per salvarle vita. Secondo l'organizzazione per i diritti umani, il processo terminato con la condanna a morte è stato iniquo, non avendo i giudici preso in considerazione prove che avrebbero potuto scagionarla dall'accusa di omicidio.
L'impiccagione, si legge sul sito web di Amnesty, ''è avvenuta senza che l'avvocato di Delara Darabi ne fosse stato messo a conoscenza, nonostante la legge preveda che i legali dei condannati a morte debbano essere informati 48 ore prima dell'esecuzione''. Per l'organizzazione, ''si è trattato di una mossa cinica delle autorità iraniane per aggirare le pressioni nazionali e internazionali che avrebbero potuto salvare la vita di Delara Darabi''.
Quella di Delara Darabi è stata la 140esima esecuzione in Iran dall'inizio dell'anno, la seconda nei confronti di una donna e la seconda nei confronti di un minorenne al momento del reato. L'Iran ha messo a morte almeno 42 minorenni dal 1990, in totale disprezzo degli obblighi internazionali che stabiliscono il divieto assoluto di mettere a morte persone per un reato commesso quando avevano meno di 18 anni.
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