Aspettando Madonna è la preponderanza semantica del fruscio sul suono, l’anti-reality, il controformat comunicativo che cita la televisione contemporanea rovesciandone i loci e invertendone i nessi, in una narrazione riuscita e perfettamente leggibile fatta di ”tagli” di montaggio, ridondanze, interiezioni, scarti linguistici che sono la controparte espressiva degli standardizzati highlights quotidiani dei reality show o delle partite di calcio.
Aspettando Madonna è l’interdetto sintattico che funziona, il “fuori campo” cinematografico che entra nel frame, la scelta dell’”unheimlich” come cifra del reale, il “dispetto” stilistico alle cortesi banalità da prime time televisivo.
La vita, in Aspettando Madonna, non ha sceneggiatura possibile ma il film ci ricorda, nondimeno, lo shakespeariano “all the world’s a stage”, e di questo palcoscenico cogliamo gli aspetti più opachi: la pesantezza degli attrezzi, l’incertezza dei mezzi materiali, i momenti fuori spotlight. Un’enfasi comunicativa sul “contatto”, alimentata da un audio “lo-fi”, evoca precisamente, e con grande pregnanza, la contingenza di un mondo precario, faticoso, frustrante. Aspettando Madonna non è un documentario, è una metafora: il “making of” di uno spettacolo la cui “prima” sembra non arrivare mai.
E invece il momento della “prima” arriva. Con il botto. Perché, cercata e attesa lungo tutto il film, Madonna irrompe. Ed è una “inner-Madonna” bellissima e collettiva, ...
Il finale del film, infatti, che si distende in un lungo piano sequenza, ci spiega che no, non è affatto vero che “la vita è sogno”, anzi, la vita è incubo, ma di certo è sicuramente vero, e per fortuna, che “il sogno è vita”, che le rockstars siamo noi, perchè “you don’t need to be a rockstar to feel like one”, che siamo splendide “material girls in a material world” che non vedono l’ora di buttarsi “into the groove”.e reclamano il diritto al raso e alle rose.
“Girls just want to have fun”. Che il mondo se ne faccia una ragione.
E così sia.
(Maria Luisa Fagiani, www.milanox.eu)
Posso capire l'entusiasmo solamente in quanto dovuto al fatto che metà del pubblico presente in sala aveva in qualche modo partecipato al film. Personalmente ho trovato alcune battute spassose e divertenti, mentre altre scene cinematograficamente proprio scarse (la mancanza di soldi non giustifica sempre certe scelte, secondo me)...qualche minuto solo di parlato a sfondo nero che mi è sembrato un'eternità (veramente insopportabile), ed un atteggiamento che non ho capito se essere compiaciuto o autoironico da parte di chi recitava. Niente di concluso, comunque, per assurdo... e lì sta la genialata, il balletto finale di Material Girl viene accolto come l'arrivo del Messia...perchè finalmente si dà un senso al tutto... Credo comunque che la cosa che mi ha infastidito di più, per lo meno da parte del regista, che mi è sembrato abbastanza narciso, sia stata quella sensazione di compiacimento autoincensante....Incito comunque chi ha tempo e voglia di provare a vedere questo corto per darmi ragione o meno....
Aspettando Madonna è l’interdetto sintattico che funziona, il “fuori campo” cinematografico che entra nel frame, la scelta dell’”unheimlich” come cifra del reale, il “dispetto” stilistico alle cortesi banalità da prime time televisivo.
La vita, in Aspettando Madonna, non ha sceneggiatura possibile ma il film ci ricorda, nondimeno, lo shakespeariano “all the world’s a stage”, e di questo palcoscenico cogliamo gli aspetti più opachi: la pesantezza degli attrezzi, l’incertezza dei mezzi materiali, i momenti fuori spotlight. Un’enfasi comunicativa sul “contatto”, alimentata da un audio “lo-fi”, evoca precisamente, e con grande pregnanza, la contingenza di un mondo precario, faticoso, frustrante. Aspettando Madonna non è un documentario, è una metafora: il “making of” di uno spettacolo la cui “prima” sembra non arrivare mai.
E invece il momento della “prima” arriva. Con il botto. Perché, cercata e attesa lungo tutto il film, Madonna irrompe. Ed è una “inner-Madonna” bellissima e collettiva, ...
Il finale del film, infatti, che si distende in un lungo piano sequenza, ci spiega che no, non è affatto vero che “la vita è sogno”, anzi, la vita è incubo, ma di certo è sicuramente vero, e per fortuna, che “il sogno è vita”, che le rockstars siamo noi, perchè “you don’t need to be a rockstar to feel like one”, che siamo splendide “material girls in a material world” che non vedono l’ora di buttarsi “into the groove”.e reclamano il diritto al raso e alle rose.
“Girls just want to have fun”. Che il mondo se ne faccia una ragione.
E così sia.
(Maria Luisa Fagiani, www.milanox.eu)
Posso capire l'entusiasmo solamente in quanto dovuto al fatto che metà del pubblico presente in sala aveva in qualche modo partecipato al film. Personalmente ho trovato alcune battute spassose e divertenti, mentre altre scene cinematograficamente proprio scarse (la mancanza di soldi non giustifica sempre certe scelte, secondo me)...qualche minuto solo di parlato a sfondo nero che mi è sembrato un'eternità (veramente insopportabile), ed un atteggiamento che non ho capito se essere compiaciuto o autoironico da parte di chi recitava. Niente di concluso, comunque, per assurdo... e lì sta la genialata, il balletto finale di Material Girl viene accolto come l'arrivo del Messia...perchè finalmente si dà un senso al tutto... Credo comunque che la cosa che mi ha infastidito di più, per lo meno da parte del regista, che mi è sembrato abbastanza narciso, sia stata quella sensazione di compiacimento autoincensante....Incito comunque chi ha tempo e voglia di provare a vedere questo corto per darmi ragione o meno....
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