Come si cambia prospettiva..il sushi..i bicchieri pieni..e chiara che versa il vino..
Banchetto quale imago mundi: a tutti gli effetti, i riti della tavola nel mondo antico ci appaiono come rispecchiamento di una personale rappresentazione del mondo. Anche il numero degli invitati è sottoposto ad una intenzionale euritmia: non meno delle Grazie, non più delle Muse, vale a dire da tre a nove.
A tavola, ciascuno continua ad essere più che mai ciò che è: le sollecitazioni aspre, piccanti, dolci o salate, offerte al palato, sembrano confacenti agli umori del corpo, tanto da esaltarne i temperamenti.
Nel contesto della mensa alcuni oggetti assumono valenze magiche, perciò, prima di accostarsi alla tavola, vige l’usanza di togliersi anelli e cinture, che simboleggiano i cerchi magici a delimitazione degli spazi posseduti dalle presenze demoniache. Le lucerne non devono essere spente a conclusione del pasto, per non disperdere la sacralità del fuoco. Scopae è strumento bivalente: purifica, ma allo stesso tempo rischia di allontanare i geni protettori della casa. Oltre tutto gli avanzi servono da nutrimento alle anime dei morti e nei tempi più antichi i resti del cibo erano portati in offerta sulle tombe. Nella dimensione simbolica del dono si spiega dunque la rappresentazione musiva pavimentale di certe nature morte, che effigiano proprio gli avanzi.
Ogni gesto dell’uomo romano aspira a stabilire una perfetta armonia con le forze del cosmo, pertanto le sale tricliniari devono essere ubicate in modo da seguire un corretto orientamento rispetto al sole: esposte ad ovest d’inverno, per sfruttare la luce pomeridiana; rivolte ad est in primavera e autunno, per catturare i raggi diretti del sole nascente e risultare perciò temperate al momento del pranzo; posizionate a nord in estate, allo scopo di offrire frescura e piacevolezza ai commensali.
D’altra parte la mensa e l’assunzione del cibo sono ascrivibili alla sfera del sacro; poiché ogni pasto è una cerimonia, nulla deve profanare o interrompere il suo svolgersi.
Banchetto quale imago mundi: a tutti gli effetti, i riti della tavola nel mondo antico ci appaiono come rispecchiamento di una personale rappresentazione del mondo. Anche il numero degli invitati è sottoposto ad una intenzionale euritmia: non meno delle Grazie, non più delle Muse, vale a dire da tre a nove.
A tavola, ciascuno continua ad essere più che mai ciò che è: le sollecitazioni aspre, piccanti, dolci o salate, offerte al palato, sembrano confacenti agli umori del corpo, tanto da esaltarne i temperamenti.
Nel contesto della mensa alcuni oggetti assumono valenze magiche, perciò, prima di accostarsi alla tavola, vige l’usanza di togliersi anelli e cinture, che simboleggiano i cerchi magici a delimitazione degli spazi posseduti dalle presenze demoniache. Le lucerne non devono essere spente a conclusione del pasto, per non disperdere la sacralità del fuoco. Scopae è strumento bivalente: purifica, ma allo stesso tempo rischia di allontanare i geni protettori della casa. Oltre tutto gli avanzi servono da nutrimento alle anime dei morti e nei tempi più antichi i resti del cibo erano portati in offerta sulle tombe. Nella dimensione simbolica del dono si spiega dunque la rappresentazione musiva pavimentale di certe nature morte, che effigiano proprio gli avanzi.
Ogni gesto dell’uomo romano aspira a stabilire una perfetta armonia con le forze del cosmo, pertanto le sale tricliniari devono essere ubicate in modo da seguire un corretto orientamento rispetto al sole: esposte ad ovest d’inverno, per sfruttare la luce pomeridiana; rivolte ad est in primavera e autunno, per catturare i raggi diretti del sole nascente e risultare perciò temperate al momento del pranzo; posizionate a nord in estate, allo scopo di offrire frescura e piacevolezza ai commensali.
D’altra parte la mensa e l’assunzione del cibo sono ascrivibili alla sfera del sacro; poiché ogni pasto è una cerimonia, nulla deve profanare o interrompere il suo svolgersi.
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