Vi pensavo in un modo tale che sedetti sul letto, col cuore che mi batteva forte, e mi dissi che era una cosa stupida e mostruosa, che io ero soltanto una bambina maleducata e pigra e che non avevo il diritto di pensare a quel modo. Eppure, continuavo, involontariamente a riflettere: a riflettere che ella era nociva, e pericolosa, che bisognava allontanarla dalla nostra strada. Ripensavo al pranzo che avevo passato a denti stretti. Piegata, disfatta dal rancore, disprezzandomi e sentendomi ridicola nello stesso tempo di provare un tal sentimento… Sì era quello che rimproveravo ad Anna; ella mi impediva di amar me stessa. Io, così naturalmente fatta per la felicità, l’amabilità, la spensieratezza, penetravo, per colpa sua, in un mondo di rimproveri, di cattiva coscienza dove, troppo inesperta per l’introspezione, perdevo me stessa. E lei che cosa mi dava? Misurai la sua forza: ella aveva voluto mio padre, e l’aveva, a poco a poco avrebbe fatto di noi il marito e la figliastra di Anna Larsen. Vale a dire creature civili, bene educate, felici. Infatti ci avrebbe reso felici, sentivo benissimo con quale felicità, noi instabili, avremmo ceduto a quell’attrazione di essere inquadrati, senza responsabilità. Ella era troppo efficiente.
Ps: grazie a Lisa sempre preziosa
giovedì 6 novembre 2008
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