In questi ultimi giorni ha imperversato in me un violento impulso di ribellione. Desidero ardentemente qualcosa. Mi sento quasi avulsa. Desidero cose di cui J. può far a meno tanto facilmente e che non sono naturali in lui. Io, invece, le desidero ardentemente. Ma più forte di tutti i miei desideri, un altro predomina: quello di fare bene, innanzi tutto. Quanto prima avrò scritto i libri, tanto prima mi sentirò bene, tanto più presto i miei desideri saranno prossimi ad avverarsi. Questa è l’unica verità, naturalmente.
Come un semplice stato di fatto, considero la mia forzata prigionia un dono di Dio. Ma, d’altra parte, bisogna che ne tragga il miglior partito possibile. Come qualsiasi altra cosa, anche questo momento ha un limite. Oh, perché… perché non c’è nulla di illimitato? Perché in ogni giorno della mia vita debbo essere turbata dalla vicinanza della morte e dal pensiero che è impossibile sottrarvisi? Sono proprio malata a tal punto? E non posso neppure parlarne. Se ne parlo a J., lo addoloro. Se non glie ne parlo rimango sola a lottare con questo pensiero. Sono stanca della lotta. Nessuno può sapere quanto sono stanca.
Questa sera quando la prima stella brillava attraverso la finestra laterale, e le montagne erano così incantevoli, mi sono seduta là pensando alla morte… a tutto ciò che mi resta da fare… alla vita, che è tanto bella… al mio corpo, che è una prigione. Ma questa condizione di spirito è malvagia. Soltanto a condizione di confessare che io, essendo quella che sono, ho dovuto soffrire questo per adempiere il mio compito nel mondo; soltanto sentendomi riconoscente di non essere stata privata di questo compito, soltanto a questo prezzo, mi potrò rimettere in salute. Sono debole, quando dovrei, invece, essere forte. (…)
24 novembre 1921
dal Diario di Katherine Mansfield
Come un semplice stato di fatto, considero la mia forzata prigionia un dono di Dio. Ma, d’altra parte, bisogna che ne tragga il miglior partito possibile. Come qualsiasi altra cosa, anche questo momento ha un limite. Oh, perché… perché non c’è nulla di illimitato? Perché in ogni giorno della mia vita debbo essere turbata dalla vicinanza della morte e dal pensiero che è impossibile sottrarvisi? Sono proprio malata a tal punto? E non posso neppure parlarne. Se ne parlo a J., lo addoloro. Se non glie ne parlo rimango sola a lottare con questo pensiero. Sono stanca della lotta. Nessuno può sapere quanto sono stanca.
Questa sera quando la prima stella brillava attraverso la finestra laterale, e le montagne erano così incantevoli, mi sono seduta là pensando alla morte… a tutto ciò che mi resta da fare… alla vita, che è tanto bella… al mio corpo, che è una prigione. Ma questa condizione di spirito è malvagia. Soltanto a condizione di confessare che io, essendo quella che sono, ho dovuto soffrire questo per adempiere il mio compito nel mondo; soltanto sentendomi riconoscente di non essere stata privata di questo compito, soltanto a questo prezzo, mi potrò rimettere in salute. Sono debole, quando dovrei, invece, essere forte. (…)
24 novembre 1921
dal Diario di Katherine Mansfield
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